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PERFEZIONI O IMPERFEZIONI?

Alle farfalle che faticano nel dolore per ritrovare se stesse.

Parto dalla storia o dall’attualità? Narrare l’antefatto e relazionarlo allo storico o meglio partire da una riflessione antecedente che mi ha spinta all’antefatto per poi fare un salto indietro nel tempo? Vedremo come riuscirò a spostare queste pedine nella magica scacchiera del mondo del genere umano strada facendo.
Cammino molto, giro per le vie della città in cerca d’ispirazione, e la sensazione di aggirarmi in percorsi diversi ogni volta – quando invece sono i medesimi ma arricchiti o impoveriti dalla mano della natura – è assai curiosa. Altrettanto interessante è la varietà d’incontri umani, volti e atteggiamenti non hanno meno importanza nella stimolazione della creatività. Ma questa mia ricerca, che fondamentalmente si fonda sulla bellezza della diversità, nel corso degli ultimi due anni è stata disturbata da un cambiamento che a mio parere è stato tanto repentino quanto frastornante. All’improvviso ho avuto l’agghiacciante sensazione di essere stata catapultata dentro un film di fantascienza dove mi ritrovo inseguita da tanti cloni che si differenziano l’uno dall’altro per la lunghezza e la larghezza del loro corpo. Impressionante. In particolare, mi riferisco soprattutto al modello adolescenziale che si presenta stereotipato in acconciature, trucco, ammiccamenti, abiti succinti, pantaloni strappati dei quali forse rimane integra solo la cerniera, o slip smascherati da jeans che vanno poco oltre l’altezza del sotto gluteo. Lo stesso abito – stracciato, a bracaloni o integro – non fa la differenza, si adatta a qualsiasi momento della giornata. Anni addietro, la tipologia di indumento sanciva il momento della giornata vissuto – abito del mattino, da cocktail, da sera… – mentre adesso, pur di esibire la propria fisicità o ricalcare un modello, il momento della giornata si adegua all’abito che desideriamo indossare e che suscita attenzione poiché emula una tendenza. Possiamo parlare di mancata personalità? Non mi esimo dall’affermare che in tali casi sia proprio l’abito a fare il monaco. È un’affermazione forte e conseguente all’attuale tendenza di seguire i dettami di coloro che si fanno chiamare influencer.
Chi è l’influencer? Che ruolo ha nella società oltre ad esibire all’ennesima potenza se stesso attraverso dei marchi (avrei potuto scrivere brand ma preferisco usare il termine italiano) che gli permettono di portare a casa la pagnotta per sfamarsi, e “condizionare” i gusti e le scelte della stragrande maggioranza della popolazione? Vi invito a cercare tale parola su un motore di ricerca e giocare a trovare le differenze tra le immagini che ne usciranno (di naturale c’è rimasto davvero poco).

Andiamo oltre… la strada adesso si biforca ma vedrete che al suo termine si sarà ricongiunta nell’espressione di un unico punto di arrivo. Conosco un regista della televisione italiana (non nomino persone ed emittenti tv), con il quale intraprendo una breve ma simpatica conversazione; al termine – valutate le mie capacità relazionali, la spigliatezza, la simpatia e la bellezza, ecc… – mi chiede se io sia interessata al ruolo di presentatrice televisiva (sottolineo che mi ha cercata lui stesso). Sta selezionando una “donna artista” per affiancare il presentatore protagonista. Qual è stata la mia risposta? Istintivamente avrei risposto un no secco, tuttavia – dopo avere imparato a riflettere prima di aprire la bocca – pur di vivere l’esperienza del provino, mi mostro ugualmente interessata al ruolo. In quel momento m’incuriosiva conoscere i parametri di selezione di una conduttrice, ovvero “la persona incaricata di coordinare lo spettacolo e di presentarne i partecipanti”.
Per farla breve, il provino lo svolgiamo on line per praticità (mica pensavate che mi sarei spostata a Roma per curiosità!). Procedo con ordine: osservazione scrupolosa dei tratti del viso, vestizione con abito da sera e scarpa tacco dieci, valutazione dell’impostazione del corpo seduta e in piedi simulando le diverse inquadrature della telecamera, lettura del copione e, dulcis in fundo, ballare e atteggiarsi lasciandosi trasportare dall’ispirazione. Cosa??? Mi domando se io abbia davvero compreso l’ultima richiesta… a quanto pare sì. A cosa serve recitare il ruolo della femme fatale per condurre un talent dedicato alle famiglie? Inutile chiedere al tipo, la domanda avrebbe potuto compromettere il taglio del mio traguardo. Con molta difficoltà, decido di recitare quella parte domandandomi se davvero il tipo pensa che io possa mettere a nudo la mia sensualità in tali circostanze… considerate le sue richieste insistenti, la risposta alla mia riflessione è sì, lo pensa! Comunque con la sottoscritta ottiene poco: qualche movimento seguendo il ritmo del brano, due o tre espressioni sognanti e, per ultima, la domanda che non riesco a trattenere “a cosa servirebbe tutto ciò?”. La sua risposta: è la dimostrazione di come riesci ad essere disinvolta davanti a un estraneo. Penso “forse mi sono persa, la presentatrice dovrebbe condurre ammiccando e ballando?”.
Si dichiara soddisfatto della mia personalità e del mio aspetto, rimarcandone la particolare bellezza enfatizzata dagli occhi e dalla bocca, però, e c’è un però, il mio volto non è perfetto a causa di un’irregolarità che potrebbe essere corretta con l’aiuto del chirurgo estetico. “Ho capito bene? Quale chirurgo estetico ti ha inviato a me?” mi domando.
Se vi state chiedendo quale sia stata la mia risposta, vi accontento: mai e poi mai mi farei mettere le mani addosso da un chirurgo estetico per condurre un programma televisivo, e se Dio mi ama così come sono, anch’io mi amo per come sono.
Terminiamo con la sua considerazione che per lavorare nel mondo dello spettacolo il ritocco estetico è all’ordine del giorno, ad esempio nove ballerine su dieci sono rifatte in virtù del fatto che un produttore per esibirle deve sborsare tanti soldi, per il successo del programma ci si deve avvicinare il più possibile alla perfezione corporea.
Non vi svelerò il nome del conduttore che la prescelta avrebbe dovuto affiancare, tuttavia, vi posso assicurare che non è bello, tantomeno affascinante e perfetto.
Da questo simpatico episodio nasce una riflessione importante che purtroppo conferma che ancora oggi il ruolo artistico della donna è marginale e subordinato a canoni che non riescono a scostarsi dalla perfezione corporea.
Nel corso degli anni, la donna artista, da oggetto di sguardi, musa e modella, era riuscita ad affermarsi come un soggetto indipendente in grado di elevare il suo status sociale ed intellettuale attraverso l’abbattimento di stereotipi e pregiudizi – che la vedevano appunto come musa e modella – e la nascita di un’ideale di uguaglianza tra i generi. A tale proposito cito Frida Kahlo per la pittura, forse tutt’oggi l’artista più richiamata a livello pubblicitario che è stata capace di trasformare la sua imperfezione, ovvero la disabilità in arte, e a Virginia Woolf per la letteratura, che si è battuta per il ruolo indipendente della donna nel mondo professionale. Purtroppo, questa faticosa ascesa è stata poi stroncata nuovamente dalla debolezza di coloro che, pur di affermarsi, hanno soffiato su una brace che non si era ancora del tutto spenta, ravvivando il simbolo di bellezza ed erotismo reso chiaro dagli attuali modelli mediatici che si stanno affermando come il prototipo di un genere umano che somiglia sempre più ad un prodotto commerciale. Un PROTOTIPO. Un genere umano che sta perdendo personalità e credibilità.

Le scelte nella libertà anche se faticose o errate portano sempre frutto.

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