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DISTURBI ALIMENTARI: STOP AL FONDO PER IL LORO CONTRASTO NELLA LEGGE DI BILANCIO 2024

Come per magia, è sparito il Fondo di 25 milioni di euro per il contrasto dei Disturbi Alimentari dalla Legge di Bilancio 2024. Parlo di “magia” poichè mi pare ancora impossibile che l’intelletto umano abbia depennato una risorsa tanto importante. Una risorsa che avrebbe potuto rispondere al grave aumento di patologie che sono la seconda causa di morte tra i giovani. Ma Anoressia, Bulimia, Binge Eating Desorder purtroppo non colpiscono solo i soggetti ammalati, coinvolgono anche i loro familiari.

A cosa sarebbero servito lo stanziamento?

I soldi sarebbero stati utilizzati per portare avanti un progetto, datato 2023, conseguente all’aumento dei Disturbi Alimentari, che hanno subito un’impennata durante il periodo del Covid – da più di 680.000 casi diagnosticati nel 2019, a circa 1.700.000 nel 2023 – e che, purtroppo, hanno portato alla morte circa 4000 persone nell’ultimo anno.

Cosa accadrà senza lo stanziamento?

Se la situazione attuale non troverà una soluzione celere, il progetto concluderà a settembre 2024. Gli ambulatori chiuderanno e i contratti del personale sanitario non saranno rinnovati. Il costante aumento di queste patologie comporterà disagi per coloro che già sono in cura, e una mancata risposta per i nuovi casi diagnosticati e da diagnosticare. Ricordiamo che i servizi di cura si occupano sia degli ammalati sia dei loro familiari.

Termino con un mio racconto "Vittoria, mia Vittoria", tratto dalla storia vera di una ragazza che era uscita dal tunnel dell'anoressia grazie alle cure di chi credeva nel lavoro che stava svolgendo. Professionisti che di fronte alle difficoltà non si sono mai arresi. A seguito, la sua intervista che vi aiuterà a comprendere una patologia che ancor oggi è scambiata per un "capriccio".

Questa è una storia capovolta, inizia dalla fine e termina con l’inizio per comprendere che le cose belle della vita non sono le nostre certezze. Le cose belle della vita sono i nostri cambiamenti.

Martina, spensierata e fiera dei suoi diciotto anni, sfreccia felice per le vie di Firenze con la sua Fiat 500 blu e un barboncino marrone seduto a fianco. L’auto e un cane, due traguardi. In realtà il vero traguardo non è stato l’acquisto del barboncino di nome Vittoria, bensì il superamento della paura dei cani. Martina ne aveva avuto il terrore e mai era riuscita ad avvicinarsi a un cane, anche a quello più docile del mondo. Tuttavia, nel momento peggiore della vita, quando la felicità le era stata strappata dal tempo e il suo sorriso era diventato un ricordo, un cucciolo di cane si era trasformato nell’unica speranza cui aggrapparsi per uscire dal tunnel dell’anoressia. Anoressia Nervosa, una patologia che l’aveva trasformata nel suo indiscutibile opposto.
Prima un leggero tocco, poi una carezza, poi un’altra e un’altra ancora fino ad accorgersi che sorprendentemente stava tenendo in braccio un cane vero e non uno di quei peluche che adornavano la sua cameretta.
Il pensiero di vincere la malattia per portare quel cucciolo a casa – una promessa dei genitori, al suo miglioramento avrebbero acquistato quel cane e ogni loro promessa era sempre stata onorata – era la spinta per combattere contro la fobia del cibo e la voce cattiva che risiedeva nella sua testa. Ma quel desiderio non aveva abbastanza forza per combattere da solo.
Martina non si rendeva conto del suo stato reale, le interessava solamente constatare di avere il controllo sul peso, e l’aiuto della madre – che l’abbandonava solo per il tempo in cui non si poteva assentare dal lavoro – non era altro che un leggero sfregamento di una piuma sulla pelle. La madre, una donna stanca ma inarrestabile, dormiva con Martina in ospedale, si svegliavano e giocavano insieme, e, come se non fosse già abbastanza, doveva vigilarla affinché non si ostinasse nel percorrere il corridoio affollato di gazzelle in fuga; l’unico momento in cui avrebbe potuto prendere una boccata d’aria era l’ora del pasti perché a controllare sua figlia ci pensavano altri, tuttavia rimaneva seduta nel corridoio speranzosa di incrociare sguardi o parole di incoraggiamento dei medici che purtroppo non arrivavano.
La malattia continuava a essere la sua ombra, e i piccoli miglioramenti ottenuti in ospedale mediante la nutrizione con il sondino naso gastrico furono spazzati via dopo l’eliminazione dello stesso. La situazione peggiorava e quel percorso non era un aiuto, anzi, il suo disagio aumentava di pari passo ai suoi silenzi. Ma la caparbietà dei genitori non si arrestava: anche se disperati, continuavano a marciare compatti verso la vittoria.
Il tempo era avanzato veloce, di pari passo a piccoli incidenti — le tensioni lavorative dei genitori, un’ingiustificata umiliazione subita a scuola, incomprensioni nell’ambito sportivo — che si erano accumulati nella nuvola grigia che vedeva seguirla ovunque. Il cielo era divenuto sempre più cupo e lo stesso il suo umore. Gli altri e ogni situazione in cui si trovava erano i nemici da cui difendersi; per questo motivo, oltre ad abbandonare l’ambiente del basket, arrivò anche la decisione di ritirarsi definitivamente dalla scuola superiore che aveva da poco iniziato a frequentare. La paura dell’esito negativo delle interrogazioni, che avrebbero potuto metterla a disagio davanti ai professori e compagni, e il sentirsi diversa dalle amiche di scuola, che avvertivano la necessità di esibire il proprio corpo e futili discorsi, erano gli avversari contro i quali non era riuscita a combattere. Sconfinavano dal recinto che lei stessa aveva tracciato e in cui dovevano sostare solo le proprie certezze. Situazioni e persone su cui poteva esercitare il proprio autocontrollo. Martina era stata trasformata nella fedele serva di una voce che si era impadronita di lei cancellando dal suo dizionario mentale tutto tranne alcuni termini che rimbalzavano da un neurone all’altro, seguendo un percorso preciso e rigido tanto da non lasciare spazio per entrarvi. Dimagrire, ingrassare, peso, calorie, misure, bilancia. Con quei pochi termini era riuscita a comporre frasi diverse accomunate dal solo ordine del divieto. Divieto di finire il pasto, divieto di bere, divieto di mangiare, divieto di stare ferma… “perché sei grassa”. Quella voce spietata aveva urlato tanto da convincerla che ciò che stava udendo non era altro che la verità.
Tredicenne, Martina si era trovata a fare i conti con la parola autostima. La considerazione di sé era un concetto che mai l’aveva sfiorata e vi si era scontrata proprio quando venne a mancare colui che l’aveva da sempre fatta sentire una principessa perfetta nel suo regno incantato. Il nonno. Il disagio era iniziato a crescere nel cuore – probabilmente scaturito dal sentirsi appiccicata la sporcizia della timidezza e della fragilità che la portavano spesso a farsi scudo del proprio nucleo familiare – si era propagato e poi tramutato in un’ossessione, e infine trovato certezza nell’offuscamento degli occhi che non erano più capaci di delineare il contorno preciso della realtà. A qualsiasi impulso esterno era capace di esibire un solo sorriso che non celava altro che l’arrovellamento emotivo scaturito anche da una banale e scherzosa provocazione.
C’era una volta una bambina di nome Martina, un’anima chiacchierona ma con una lieve sfumatura di riservatezza percepibile alla sola presenza di persone estranee. Esprimeva la sua dolcezza con la profondità dello sguardo e con il sorriso irradiato dal calore della sua anima. Era la secondogenita di semplici ed onesti lavoratori che non avevano mai messo in discussione il valore della propria famiglia, nemmeno nel periodo più buio della loro vita. Martina e la sorella avevano sempre potuto contare sulla loro presenza, nonché sull’amore dei nonni, nella difficoltà e nella gioia assaporando il gusto dell’incoraggiamento, della correzione, dell’aiuto e dell’amore.